Antologia critica 1981/1989

In Liberti la celebrazione del nudo femminile è un pretesto / trappola per l'osservatore: egli viene così catturato ed introdotto in un paesaggio duplice ed ambiguo dove si consuma il gioco sottile tra il potere in penombra e la “vittima” che ostentando reticenze e complicità, pudori e abbandoni, partecipa a quel rito che da sempre giustifica e alimenta i comportamenti del “carnefice”.
(Luciano Caprile, 1983)

Ritorna a Trieste, dopo alcuni anni, l’opera pittorica del genovese Bruno Liberti il quale conobbe allora una vasta eco di consensi ed un notevole numero di collezionisti. Anche nella mostra attuale Liberti rivela un occhio critico fatato e sensitivo verso il dedalo della vita contemporanea e così, da quando lo si avvicina e lo si conosce, le sue opere sono una ininterrotta galleria di ritratti e di volti nei quali l’artista svela presentimenti ed ansie sul ruolo della persona. Siamo persone o personaggi? Può capitare anche ai protagonisti veri di trasformarsi in maschere, sebbene fare il contrappunto ai ricordi delle facce più memorabili sia un intervento emblematico, misterioso, simbolico… Una pittura robusta, che si riallaccia gagliardamente agli autentici capolavori dei Maestri del passato e si colloca con ammaliante fascino nei percorsi artistici del nostro tempo così inquieto.
(Dario Ferin, 1984)

“Il paesaggio mancante”
Se una delle funzioni dell'arte dei nostri giorni è quella di captare certe pulsioni della vita, di mutarsi con essa, di usare gli stessi strumenti della tecnologia, di cogliere e di trasmettere segni istintivi e razionali, gesti e comportamenti, parrebbe decisamente precluso il rapporto con la figurazione intesa nei termini consueti. Invece esistono ancora ampi spazi e motivazioni quotidiane per la pittura che trasmette una realtà rispondente alle esigenze comportamentali ed emozionali di’una società come la nostra: ne deriva un ruolo congeniale a questo tipo di figurazione e che altre espressioni d'arte, maggiormente legate al divenire tecnolog-ico e alla ricerca gestuale o tonale, non riescono a sostenere con pari efficacia. Il ruolo è quello che investe il “paesaggio mancante”, per citare un termine caro al sociologo Piero Bellasi, per cui si denuncia la crisi dell’ individuo odierno nei rapporti con se stesso, con gli altri e con il mondo che lo circonda. Quando l'uomo tende a essere sovrastato dalla “macchina”, quando c'è il rifiuto di sé e degli altri come parte di questa umanità, avviene all'interno di ognuno un distacco, si verifica la perdita del “ paesaggio” che comprende noi individui legati a noi stessi, ai nostri simili e alla natura da vincoli ancestrali, quei vincoli che procurano un intimo equilibrio la cui alterazione può condurre danni difficilmente, calcolabili. Ma torniamo all'arte che dovrebbe evidenziare simili carenze contemporanee, che dovrebbe denunciare le incrinature del nostro fragile mondo interiore. Un esempio didatticamente .ineccepibile e, tecnicamente convincente, anche per la potenzialità di cattura e di seduzione dell'osservatore, lo si trova in alcune delle più recenti opere di Bruno Liberti. In questi quadri emerge con immediatezza uno spiazzamento dei personaggi rispetto agli oggetti e tra loro medesimi, come se si fosse smarrito un codice comune di rapporti, come se si fosse interrotta una comunicazione, come se non esistessero più voci. Eppure le cose e le persone, colte nel loro particolare frammento, non manifestano alcunché d'inquietante. E' il puzzle che ne nasce; la combinazione, l'atmosfera generale a destare smarrimento. A favorire tale situazione è l'intendimento pittorico di Bruno Liberti: egli non ripercorre la via simbolista o quella neo-rinascimentale, non ripropone i passi diretti al cuore di chi guarda dall'espressionismo rivisitato degli ultimi anni ; egli si avvale invece della pennellata calda, ambigua e suadente come una trappola collocata in una penombra di mistero. Appena cade il velo, appena l'osservatore si trova “dentro “ l’opera e s'accorge dell'inganno è troppo tardi, non .ne può più uscire perché egli è diventato parte dell'opera stessa, egli è condannato a recitare ormai il ruolo che nella finzione giornaliera gli è dovuto. Se proprio si vuol cogliere in Liberti un metodo di scrittura e d’indagine, si potrebbe scomodare l'allegoria, che talora rimane però a metà tra un prima e un dopo che non conosciamo nel racconto sulla tela, un racconto di sensazioni, di non intenzioni, di perplessità che riguardano anche il presente narrato. E' la parabola del quotidiano che gli ornamenti, le promesse, le attese, le prevaricazioni e le sottomissioni, l'erotismo di consumo, non riescono a decifrare per l'individuo. In tali dipinti l'allegoria più immediata è forse quella che riguarda il pittore e la modella, un tema trattato da molti artisti attraverso i secoli, un tema intinto di sensualità e di sudditanza, dove la modella è alternativamente oggetto e soggetto, dove il pittore è sovente signore di quel corpo, a volte è invece schiavo dell'immagine che ne deriva. In Liberti, dove l'allegoria è pretesto per un racconto contingente, avviene invece Ia frattura tra pittore e modella, tra un prima e un dopo che, come si accennava, non conosciamo e invece vorremmo conoscere perché ci appartengono più del momento d'assenza, di quella fuga reciproca che vediamo raffigurata. Qui le nudità non significano un rapporto fisico d'amore accaduto o d'accadere, ma un ulteriore distacco, una spoliazione interiore completa, un deserto senza sorprese, In altri quadri è la donna, parzialmente denudata (la stessa modella?), ad attendere, sola, in un interno di cui disconosce il ruolo: essa guarda “altrove “, attende l'inattendibile, è pronta in offerta di sé. Ma quale offerta vale se nessuno la raccoglie? Il compendio del racconto emerge infine nella grande realizzazione dove sono raffiguranti gli amici, personaggi-manichini che fanno mostra di sé, come su un palcoscenico, in pose, in soliloqui. Ruoli emblematici nella finzione dei rapporti: la vita appare così come una tela bianca, quella che sta di fronte all'artista nudo, su cui non riusciamo neppure a scrivere il nostro nome. Opere da leggere e da meditare quindi, queste di Bruno Liberti, per tali assenze, per quel “paesaggio mancante “ che coinvolge il nostro io, al di là del fascino indiscutibile delle immagini.
(Luciano Caprile, “Il paesaggio mancante”, presentazione a catalogo della personale alla Galleria R. Rotta, Genova – 1985)

Ritratto di interno
La figurazione di Bruno Liberti, uno del pittori nostri tra i più dotati racconta (con persino eccessiva nitidezza) soprattutto l'ambiente dell'arte e degli artisti attraverso la registrazione delle esperienze oggettive, cioè con l'aspetto che prendono le cose infilate dall'occhio al primo sguardo e ricomposte in una sorta dl scena convenzionale. Eppure cl si accorge subito che l‘ intenzione dell’artista non è quella di accentuare l'estrazione realistica dei personaggi e della situazione, né di dirne in qualche modo l’oggettualità ideale. E' sufficiente il tono basso, trattenute dell’illuminazione, convertita all'atmosfera da un fermo intrecciarsi di terre e di ombre, per capire che Liberti non ci mette davanti gli oggetti tali e quali come sono. Nei suoi quadri, esposti alla grande alla Galleria Rotta, con le cose, ci sono riflessioni e illazioni sul loro significato, c’è, appunto, una intenzione che deve essere quella che cerca di scoprire, e di farci scoprire, quali nessi ci siano coinvolgenti, tra un oggetto e l'altro, tra due o più presenze, fra un evento e l’altro. Che è poi corrispondere all'idea di pittura attribuita, quasi da sempre, all’arte del pittore. Da qui a muovere ai taciti presupposti il passo è, almeno per me, più lungo di quello che subito può sembrare… Personalmente ritengo però che ciò sia se il quadro lo si guarda secondo le intenzioni, cioè dal suo esterno, dalla parte dell'assunto iconografico o dalla parte dell'immaginario letto nel suo tema rappresentativo. Provando invece ad. approfondire la sua natura interna, la sua pittura come materia formante, il suo disegno, non come presa immediata della figura bensì come strumento soggettivo che si addentra nel reale per coglierne tutte le valenze, allora scopriamo che la razionalità,il puntiglio compiaciuto del “realizzare”, sopraffanno la fantasia, i brividi e la passione che consentirebbero di superare la forma rappresentativa in sé per cogliere, oltre essa, oltre la sua.apparenza immediata, clima e ispirazione, sostanza poetica. Da Liberti ci aspettiamo lo scatto, il superamento del troppo finito che frena, freddandolo, lo scambio reciproco tra l'artista e il suo soggetto. Che è proprio quello che egli ci offre invece con i paesaggi più partecipati, filtrati e potenziati, più che dalla precisione, dalla sensibilità partecipe, dalla compromissione totale con la pittura.
(Germano Beringheli , forme e colori – “IL LAVORO”- 1985)

…Liberti è sempre stato uno dei più conseguenti nell’utilizzare in modo straniante l’oggettività di visione. Già in opere più lontane nel tempo, il confronto e in qualche modo lo piazzamento dell’uomo – e molto spesso della donna – nell’ambiente è stato uno dei temi centrali di una poetica rigorosa nel rispecchiamento, limpida nelle scelte. Anche il nudo, in questa luce, diventa motivo centrale di una ricorrente scarnificazione del racconto, sempre all’insegna di uno spaesamento, di un’incomunicabilità tra persona e spazio, e interno borghese… Liberti esprime, nell’attesa perenne delle sue figure, nel lucido gusto per il particolare “scenografico”, le tensioni diverse di una presenza che porta il corpo, la sensualità disincantata e pur così magica dei suoi nudi, “altrove” rispetto “all’interieur”, a una dimensione sempre più estranea, che nel suo quasi impersonale decoro non basta più a contenere emozioni fuggenti e pur lancinanti. Da questa pittura , discreta e contenuta, esce un messaggio fatto di delicati equilibri psicologici,di sfumate sensazioni, d’ineluttabilità, forse. Anche la piena, carnosa fisicità di certe sue immagini femminili viene toccata da una inquietudine profonda, che è appunto quella di chi si pone alla ricerca di punti di fuga, o vuol comprendere appieno di segreti di un’anima, quelli che né il corpo, né il gesto possono esprimere.
(Mauro Bocci, IL SECOLO XIX – 1985)

…Pittoricamente, l'atmosfera è meno rigida del periodo precedente; il colore vibra di tonalità fredde a cui si aggiungono lievi toni caldi, e la sensibilità si lascia trasportare da sottili emozioni. La duplicità del suo sentire è oggi espressa dal “finito” e dal “non finito” che non si avverte al primo colpo d’occhio… Nasce un gioco di presenze che sottendono ad assenze, come un proporsi e poi scomparire, richiamare e respingere, attendere e fuggire…Si scatena un campo magnetico di forze che si contrappongono e respingono, implosive le une ed esplosive le altre, che si sfibrano in dialoghi solitari e si allargano in onde di circolari silenzi. L'abilità manuale di Liberti è proverbiale, sia in quel giocare di presenze - assenze sia nell'evocare atmosfere attraverso le ombre, le penombre e le luci, sia nel delineare le figure nella loro consistenza e nella loro epidermide. Liberi è essenzialmente pittore di figura e di ambiente, ma qualche volta si concede al paesaggio nel quale si allentano le tensioni e si stempera una maggiore serenità.
(Miriam Cristaldi, Mensile del Comune di Genova, n°6 -1985)

La forma e l’enigma
Dare forma all’enigma, salvare quindi la leggibilità della rappresentazione, conservando intatto il senso sottile ed inquietante del mistero. E’ certo una lettura per difetto: ma questo mi sembra il significato che Liberti vuole attribuire ad uno dei temi più classici nella storia dell’arte, quello del pittore e la modella. La maschera- che è il vero e proprio centro focale di questa incisione- viene da sempre associata all’idea del carnevale, regno della trasgressione, ma anche dello spaesamento, del mondo alla rovescia, del miraggio impossibile. Metafore per eccellenza dell’ambiguità, funziona anche in quest’ opera di Liberti con candore sospetto. La composizione sembra offrire una chiave di lettura certa nella raffinatezza formale che fascia le figure, in un gioco perfetto di ombre e luci e sembra emanare un fascino addirittura, ipnotico. Ma è una chiave che apre la porta solo a metà, perché lo splendore della superficie nasconde il nocciolo di una metafora “forte”, filosofico-esistenziale: la maschera può celare una logica di decomposizione o di felicità, può ricomporre l’infinito o frantumarlo. In ogni caso non dà risposta, ci rimanda solo a uno stupefatto silenzio. E’, dunque, un rimando all’ipotesi, al dubbio all’ambiguità: verità, o finzione? Realtà o simbolo? Concretezza o vanità del sogno? Attesa, desiderio, seduzione, ansia e vuoto: dubbi che propongono altri dubbi, in un interrogarsi che rinnova in continuazione il proprio mistero, come la scala di cui parla Wittgenstein che occorre gettar via non appena si è saliti sul gradino più alto.
(Silvio Riolfo Marengo,commento alla cartella di acqueforti- 1987)

L’Appennino Ligure è un rosario di montagne con una repressa vocazione di Alpi…
…Bruno Liberti ha scelto giustamente la via dell’incisione, così vicina nella fatica dello scavo a questa terra, così simile nel segno aspro e sofferto dove, mirabilmente, si aprono improvvise parentesi di morbidezza (le foglie reclinanti di un albero, una tonalità del sottobosco, l’ombra che s’avvicina alla riva del torrente, la cedevolezza di una nube all’arco della collina). Il che avviene non per voluta concessione ma per comunione e contrapposizione di graffi in graduale intensità, secondo un gioco di contrari. Liberti in ciò ripercorre idealmente il tragitto degli acquafortisti dell’Ottocento, di Rayper in particolare, che per buon tratto ha fermato i medesimi scorci della natura ligure che si affacciava alla pianura; poi ha guardato a Bartolini e a Moranti nell’esercizio più moderno del gesto; quindi come è giusto, ha guardato in se stesso pescando nella sensibilità più recondita che lo unisce alla memoria del paesaggio. Ne deriva un naturalismo tutto particolare, dove il compiacimento si ferma al limitare del tronco sfiorato da una luce notturna o nel velo che soffonde il cammino circospetto del fiume Bormida. C’è attesa e sospensione di respiro, quasi che le lastre intendano esprimere il desiderio di una magia. Ma la magia è in chi sa vedere e sa capire. E’ quel che Liberti intende e trasferisce sulla morbidezza del foglio impresso da Job, maestro stampatore.
( Luciano Caprile, commento alle acqueforti presentate a Villa Croce- 1987 )

Faggi poeta per Liberti pittore.
Venerdì scorso nel Museo di Villa Croce il critico Luciano Caprile ha presentato al pubblico una cartella comprendente tre incisioni del pittore genovese Bruno Liberti abbinate a due poesie di Vico Faggi, “Nel bosco un tempo” e “Attesa di Diana”, che liricamente,in qualità autonoma, commentano le opere grafiche dell' artista. Il poeta e drammaturgo Vico Faggi non ha potuto presenziarealla manifestazione poiché si trovava a Piombino per ricevere il Premio di poesia Carlo Betocchi riconosciutogli per la raccolta “Fuga dei versi”. La sensibilità e l'acutezza poetiche di Faggi bene si coniugano con la delicatezza espressiva delle opere grafiche di Bruno Liberti stampate da Giovanni Job (realizzate grazie alla sponsorizzazione della ditta Ics Teleinformatica). La bravura pittorica di Liberti nel campo figurativo è indiscutibile. Nella sua pittura esiste una forte tensione psichica dove le inquietanti presenze evocano assenze mediante il duplice gioco del finito e del non finito:con esso e col raggelarsi delle figure in una metafisica plasticità l' artista sente l' incrinarsi del rapporto tra sé e l' ambiente. Nel paesaggio, invece, Liberti stempera le tensioni in una visione più serena ed elegiaca. La sua bravura tecnica nell'incisione, alternata in queste opere esposte tra acqueforti ed acquetinte, ci restituisce un'interpretazione naturalistica densa di effetti umorali- sembra di sentire il profumo acuto della resina dai rami spezzati - e ricca di vibrazioni pittoriche nel complesso ed efficace gioco di luci ed ombre rese con il concitato intreccio dei segni. L' Appennino ligure è qui raffigurato attraverso squarci di bosco dove tra il ricco fogliame denso di ombrosità, filtrano sottili strisce di luce che agitano il campo visivo. Come suggerisce Faggi, ci si può domandare: “... Di chi sono gli sguardi che catturano le lamine di luce sfuggite all' intrico delle foglie? “ Nel tramonto di un paesaggio nuvoloso, reso con la tinta seppia, una complicatissima trama segnica tesse oscuri addensamenti mentre tra le maglie allentate trapelano luminosità che si riflettono nell'acqua. Commenta ancora Faggi: “... dai cespugli s'affaccerà domani, silenziosa, la vergine Diana e specchiarsi nel fiume.
(Miriam Cristalli, “il Giornale” -1987)

Bruno Liberti immerge le sue figure, sempre ben delineate, in un medium luminoso che le strania, le distanzia staccandole dalla quotidianità.
(Mario De Micheli, “AMICI,PITTORI”- Dialogo di un poeta, Vico Faggi,con gli amici artisti).

“…per soprano solo”
…Mi è difficile spiegare il soprassalto che provo di fronte alla formula svergolata, all' improvviso bagliore che seducendomi accompagna alla dimensione smarcata dai canoni. Eppure, chissà per quale legge non scritta, tutto, o comunque quasi tutto, deve essere ricondotto alla formula, al ruolo; a qualcosa appunto da inquadrare in uno schema. Spesso, pur nell'attenzione riservata al richiamo di un dipinto, ciò di cui si parla è la cornice, non la sostanza. Come è mia abitudine- ognuno di suo ha un metodo - ho scorso velocemente i cartoni teatrali di Liberti. La sua pittura consueta forte e pensata, obbliga a una meditazione ampia, tante sono le allusioni le illusioni a cui egli rimanda. Per questi suoi cartoni ho sentito di dover far presto: I 'urgenza onnivora d 'arrivare in fondo, vederli tutti e dispiacermi perché lo "spettacolo" era già finito. Mi arrogo il diritto di chiamarlo" spettacolo giacché il fulcro che, quasi serie, li focalizza ,è il volto di un personaggio del mondo a noi noto appunto quale teatro. Il resto, oltre i cadenzati ritratti, sfuma, si scioglie.... "Noi siamo della medesima materia di cui son fatti i sogni..." procede una citazione dopo l'incipit fortissimo: "Le nostre feste sceniche sono finite...". È questo, come ognun sa, il saluto estremo di Prospero nella Tempesta, giacché le nostre visioni di spettatori, vissuti in palesate, immagini, ora le stiamo perdendo, s'affievoliscono ,scompaiono. Comprendo adesso qual è la forma dei “costumi “ di Liberti: sono le immagini di uno spettacolo finito, rimaste negli occhi, nella memoria. E questa memoria è la pittura, non la forma illusoria di un figurino che si debba realizzare per rendere più bella la scena, più fascinosa la cantante. I volti in questa serie di cartoni permangono quale il reale di un ricordo che collega i lineamenti alla misura di un'aria, di una romanza celebre. ll resto, l'altro di quella sfera luminescente appena spenta, miracolo appena svanito, sta nella pittura degli abiti impossibili di Liberti. Non sono da indossare. Rivestono dal di dentro il pensiero. Come di qualcosa che si desidererebbe continuasse ancora. La memoria con i suoi incrociati desideri. A conclusione di un' opera lirica ben rappresentata, anni fa, colsi una frase: "Ecco, il sogno è finito “. La medesima di Prospero, ma questa volta veniva dalla platea che si stava svuotando. Liberti coi suoi cartoni ci offre uno scarto, forse risolutore. Lo spettacolo non finito: ricordanze trasferite in pittura. Nessuno di questi suoi abiti importanti sarà mai realizzato per una rappresentazione. Essi, in realtà, sono già stati usati, indossati, portati al trionfo dalla voce e ora, cartoni, rivissuti. La carta e il colore questa volta ci giocano un giovialissimo scherzo. I mezzi amorfi non riprodurranno mai la meraviglia all'aprirsi del sipario: anche perché appartengono a ben altra dimensione. La musica s'effonde tumultuosa o soave, la voce emoziona. L'impasto cresce, si fa grandezza. Gli abiti sulla scena echeggiano vita entusiasmante: chi canta è avvolto di luce e colore. L'abito non ha più forma, né dimensione. Muta, muta in quell' elemento edificatore di un inusitato sogno che esplode nei suoi raggi: nel trapasso delle emozioni si trasfigura nella sfera delle illusioni. È il mondo del teatro lirico. La pittura col suo linguaggio fissa, almeno in questo caso, la menzognera nostra memoria e ci riconquista per il tempo della visione dei cartoni di Liberti, quell' attimo fuggente che ci sembrava perduto per sempre.
(Giuseppe Marcenaro, Teatro Comunale dell’Opera di Genova , 1989)