Rosetta, 1957

Cartolina autografa di Antonio Morera, 1954.

Alberto Nobile tiene una lezione in esterno, alla sua destra Liberti, 1956

Autoritratto, 1958

Cardinali, 1964

Distruzione della bellezza, 1967

Crocefissione, 1968

Gli anni della formazione e gli esordi.

Bruno Liberti è nato a Genova nel 1938 in una famiglia operaia.
Il padre, Armando, scaricava sale nel porto di Genova e forse lo avrebbe desiderato operaio specializzato, un buon tornitore, magari, in una delle importanti fabbriche che caratterizzavano il panorama di Sampierdarena, il maggiore quartiere industriale di Genova.

Furono invece gli sguardi della madre, Maddalena, e di sua sorella, Rosetta, ad intuire le formidabili qualità innate di quel ragazzino olivastro e un po' emaciato, che riempiva fogli e margini di giornale ("L'unità", ovviamente) di figure, ritratti, immagini.

Un po' la salute non fermissima, un po' l'ala protettiva della zia "colta", Rosetta appunto, valsero al ragazzino Liberti, alla fine degli anni '40, la concessione di un apprendistato prestigioso presso lo studio genovese dello scultore Antonio Morera. Così lo ricorda lo stesso Liberti:

(...) L’incontro con Morera, reduce da due guerre mondiali e culturalmente di stampo ancora ottocentesco, segnò profondamente il mio destino. Avevo poco più di dieci anni quando mia madrina mi accompagnò nel suo studio per fargli valutare i miei disegni infantili e chiedergli se potevo essere ammesso fra i suoi allievi.Ricordo ancora l' emozione, l'ansia e l 'eccitazione quasi incontrollabili provate durante quello che per me era un vero e proprio "viaggio": era la prima volta che, per raggiungere lo studio di Morera, attraversavo tutta la città…

(...) Il primo giorno nello studio di Morera fu, insieme, di iniziazione e di conferma: il piacere che mi avevano dato fin da bambino ricopiare le illustrazioni dei giornalini o disegnare persone e figure sui margini dei quaderni e dei libri di testo, si era trasformato, da semplice passione, nella realizzazione di un sogno.

L'apprendistato durò circa 5 anni, lasciando in eredità al giovane Liberti una solida tecnica pittorica e un substrato culturale classicista e accademico, che riaffioreà a tratti negli anni a venire.

Nel frattempo però Liberti aveva iniziato a frequentare il Liceo Artistico Nicolò Barabino di Genova, in quegli anni '50 sede dei corsi di figure influenti del panorama artistico genovese, e non solo genovese.
Scanavino, Nobile, Fieschi fecero scoprire al giovane il moderno e il contemporaneo, come ricorda lo stesso Liberti:

(...) Questo mondo che negli anni mi era diventato famigliare, cominciò a farsi stretto quando presi a frequentare il Liceo Artistico, dove altri insegnanti contribuirono ad aprire notevolmente il mio orizzonte culturale

Ecco quindi Liberti, sullo scorcio degli anni '50, fresco diplomato del liceo artistico, ripercorrere nelle proprie opere il Novecento italiano, da Casorati ai Valori Plastici, passando per le suggestioni della Metafisica dechirichiana.
Non solo, ben presto, con l'inizio della propria carriera di pittore e anche di insegnante, affioreranno via via gli stimoli dell'informale e del surrealismo, come tappe necessarie di un percorso di elaborazione della propria cifra personale.

Durante gli anni '60 Liberti sviluppa infatti una ricerca che spesso vede sì coesistere suggestioni e stili, ma già delinearsi i temi che caratterizzeranno i periodi successivi della sua carriera artistica: il tema del potere, dei suoi interpreti (a metà degli anni sessanta spesso vestiti dell'abito cardinalizio) e delle sue vittime, queste spesso alluse tramite il corpo femminile; quello della donna, appunto, catalizzatore simbolico, intorno al quale già cominciano ad agitarsi i fantasmi che Liberti spesso rivestirà di panni classici o letterari: la bestia, il Minotauro, il cavaliere.

La riflessione sul potere (si veda la serie dei "cardinali") e sui fantasmi che ne derivano, porta Liberti, sullo scorcio dei '60, ad esplorare tutte le suggestioni dell'informale e del surrealismo da Moore a Sutherland, fino a Bacon, col risultato di distruggere la forma classica e "plastica " da cui era partito. Lo si vede bene nella serie "la distruzione della bellezza", dove la "bolgia" (altro tema che ricorrerà) dei segni e della materia finisce per fagocitare la forma plastica, il tornito corpo femminile.

Le "bolge" diventeranno poi tema a sè stante, fino a sublimarsi in immagini di segni secchi, incroci di campiture, isolati in campiture piatte e totalmente astratte, che preludono al periodo "piatto", diremmo "litografico" dei primi anni '70.

I contenuti che sottendono questa parabola, dalla "distruzione della bellezza" alla serie "la città che sale" sono quanto mai attuali per l'epoca: si sente l'eco precisa del sacco speculativo della città perpetrato neglia nni '60.