Antologia critica 1990/2000

“Il Mito genera l’Enigma”
…Nelle ultime opere di Bruno Liberti l’allegoria si fa più complessa rispetto al passato, prende il respiro del paesaggio che la accoglie e la sostiene, si permea di sfumatura e di pensieri in contraddizione. La maschera non nasconde ma rivela quel che desidera; la verità si cela invece proprio nello splendore della sua apparenza nostalgica. Nella circostanza Liberti ha messo a frutto tutta la sua abilità tecnica per collocare in modo strategico scorci strappati dalla memoria di un passato di perfezione: gli orizzonti onirici, i boschi lussureggianti e le acque incontaminate giungono emblematicamente fino a noi dall’intenzione manierista; i personaggi invece tradiscono pensieri d’attualità …
(Luciano Caprile, presentazione a catalogo – Milano -1990)

…Se ci chiediamo, poi, quale sia l’ideale estetico verso cui Liberti si rivolge, dobbiamo riferirci alla Grande Tradizione, quella che i secoli hanno sfoggiato, e insieme alla volontà di inserirsi nella stessa con personali apporti e accrescimenti, tematici e pittorici. Liberti affronta, con padronanza, le grandi dimensioni ed i soggetti più impegnativi. Sulla sua tela si incontrano – e, ella struttura globale si sposano – la figura umana (i bellissimi nudi), il paesaggio, la natura morta. Il pittore conosce il segreto dell’incarnato, sa cogliere la freschezza di un frutto, la morbidezza di un panneggio, l’ombra umida di un cespuglio…E’ la grande tecnica animata da un fuoco interiore…
(Vico Faggi, presentazione a catalogo – Brescia – 1990 )

Il mito,l’enigma, il mestiere. Bruno Liberti che espone contemporaneamente nei due Centri S. Michele di Brescia e Milano, è un pittore di quelli che oggi si definiscono anacronisti, nel suo rivisitare la tradizione classica con “intenzione manierista” - come rileva Luciano Caprile in sede di presentazione –associando anzi nella tela alcuni generi che son luoghi mentali: il pittore e la modella, il paesaggio opulento, la natura morta. Da questo montaggio risultano dei "capricci"o storie bizzarre,in cui il silenzio solenne del paesaggio fa da sfondo all'enigma che sono la modella nuda, il pittore, le maschere, spesso in pose antiche da atelier, ma in una trasposizione mitologica inquietante. Dunque un'immaginazione sospesa su una misteriosa soglia del tempo, affidata a un segno e un ordito nitidi, a forme chiuse in rigoroso disegno, come accade nei veri visionari. Sospesa anche, I 'immaginazione, sulla soglia dell'accademia, con la pittura ricca di sfumature tonali nella luce diffusa; come tipico delI' accademia metafisica è il rispecchiamento magico ed enigmatico del mito (ma in una luce più morbida). Una stravaganza oziosa in queste allegorie inscenate negli interstizi tra realtà e sogno, dove prendono consistenza plastica Giove,Pulcinella e il comune mortale? Il kitsch è a portata di mano, ma c'è una dignità antica di mestiere lento e meticoloso, l'affermazione della pittura come unico principio di consistenza in un gioco di relazioni illusorie. E più che l' ironia, in questo gioco della finzione o verità simboleggiato dalla maschera, s 'impone una trasognata languidezza, una sottile erotica seduzione dell'eterno femminino immerso in uno spazio malinconico, solido e certo come le forme classico-umanistiche e, insieme perennemente inafferrabile nel mito e nel mistero. Nel remake di Liberti degli “stereotipi” della pittura di Tradizione c'è forse un eccesso di "letteratura", ma la sua incantata contemplazione è di solida visionarietà ci ricorda che il vero mistero del mondo è quello che si vede.
(Fausto Lorenzi, ”Giornale di Brescia” - 1990 )

Chi ha paura delle oda’ Liske?
Sono rimasto shockato di recente nello studio di Bruno Liberti dal tocco pittorico e coloristico di tre sue tele, di ragguardevoli dimensioni. Sono tre odalische. Anzi oda’liske, come si scrive in turco…resto nello studio di Liberti, con le sue tre oda’liske, ambientate in paesaggi che sembrano fantasiosi ginecei. Disteso su una vecchia, comoda ottomana, ammiro il potere geniale ed erotico di questa sua pittura che si diverte e pungola con lo struggimento e la mistica del sesso…
( Daro Ferin, “CHI HA PAURA DELLE ODA’LISKE” ? –teleri e studi di B.Liberti -1993 )

Liberti la Donna il Minotauro In trent’anni (1962 -1992) Bruno Liberti ha sviluppato essenzialmente il tema del rapporto uomo-donna e lo ha immerso in un universo mitologico interpretandolo alla stregua delle sue figure, con l’evocazione di fauni, satiri e Minotauri.… …Nel corso degli anni, allo sviluppo del tema indicato, corrisponde una maturazione del linguaggio figurativo, che parte dall’influenza di Picasso, recepita e filtrata attraverso la lezione di Nobile, per giungere ad una fase intermedia in cui il segno aggiunge elementi di aniconicità, per approdare infine a quello che è il suo linguaggio congeniale: un classicismo moderno. Di questa maturazione sono esempi felici (per limitarci a solo due esempi, tra i tanti possibili) il disegno “ Arianna, Pasifae e il Toro “ e “ Il mito di Arianna “. Eretta, sdraiata, la donna impone, nella carnalità della sua armonia, la sua presenza, la sua immutabilità di canone estetico, cui l’uomo si volge mascherandosi o fuggendo, contemplando e celandosi. L’uomo camuffandosi può osservare ma non essere riconosciuto, come non può essere riconosciuto nella sua metamorfosi animalesca.
( Maria Teresa Orengo, Liberti la Donna il Minotauro -1993 )

Il segreto legame In questo interno con nudo e natura morta, Bruno Liberti, cede volentieri a una esecuzione pittorica più immediata e di grande virtuosismo. Egli, nell' associare la figura nuda e assorta, alle cose, naturali o artificiali che siano, conferisce alla scena, con mano felice, un disegno ed un "fuoco" di estrema eleganza…Tutto sembra invaso da una luce primigenia," smaltata"; le sensazioni generate da quel "segreto legame", sembrano condurre, sempre, a qualcos'altro, oltre il visibile. Una raffinata ironia narrativa percorre la superficie e si avvicendano precise connotazioni di spazio e di bellezza, per rappresentare, con il gesto pittorico, un "fatto interiore", in cui la seduzione dei riflessi azzurri e dei rossi liquefatti, si esprime tacendo…Come un dio ventriloquo.
(Giuseppe Costa,”NATURAE, La bellezza inanimata”1994)

Un pomeriggio nello studio di Bruno Liberti
…E dentro quel silenzio generatore, in quel tempio di fantasia e di invenzione, quel giorno osservavo Liberti che descriveva in una vasta composizione i tratti del mio viso: una nuova sembianza di me, più interiore e segreta, che un po’ attendevo e un po’ temevo si svelasse. Egli, il funambolo, si muoveva con destrezza dentro la grande tela, e, con segni e colori, in quell’attimo che separa il domatore dalla belva, inseguiva forme e significati inafferrabili…
(Giuseppe Costa, “IL CONFINE” – 1995)

…al di là del linguaggio che resta inconfondibilmente libertiano, un valore nuovo: non più la ricerca quasi compiaciuta dell’umanità colta nel momento di trapasso dal mito alla storia, ma uno scavare nella “matta bestialità” che, attraverso la storia, perviene alla contemporaneità. Personaggi mascherati e velati, tra mistero e rivelazione, armigeri corruschi, prelati e prostitute, immagini teneramente avvinghiate, simboli animaleschi sono come trascinati in un vorticoso movimento, ora sotto un cielo azzurro frammentato di nuvole dai riverberi solari, ora risucchiati in un fuligginoso panorama di un’antica città dalla sky-line obnubilata, che ha la semantica della storia e insieme la suggestione infernale…
…mentre l’occhio resta deliziosamente affascinato, lo spirito è sgomento.
( Giuliana Biavati, settembre 1995 )

L'aiuto del caso è stato richiesto dagli artisti di ogni epoca: ricordiamo le macchie e le muffe zoomorfe citate da Leonardo, ricordiamo gli "objets trouvés" dei dadaisti, ricordiamo le carte assorbenti acquarellate da Picasso. Bruno Liberti ha percorso la medesima via intenzionale cercando il colloquio insinuante e persuasivo dei fogli di stampa, delle parole e dei segni grafici del giornale, per far vivere le nuove nature morte e i nuovi paesaggi in un contesto diverso dal solito, in un ambito di maggiore pregnanza espressiva. Per un graduale e variabile coinvolgimento della materia pittorica il fondo assurge ora a elemento protagonista venendo a determinare il calore, la presenza talora fantasmatica delI'immagine descritta dal pastello e dalla tempera. Infatti la morbidezza dei toni e la sfumatura delle descrizioni d'insieme trovano in questa base d'occasione la loro motivazione primaria. Inoltre non va sottovalutata I'ascesa in superficie di caratteri tipografici che divengono presenze essenziali, tali da decretare la scelta di Liberti e, per contrasto, da ampliarne la libertà narrativa. Il gesto diventa allora importante quanto il contenuto perché in una simile circostanza gesto e contenuto coincidono nel formulare il senso di una decisione che va oltre il risultato medesimo. Tutto si accende e “tutto si placa in un attimo, in una magia guidata dall'effimero.
(Luciano Caprile, “ Fogli “ – 1997 )

Di Bruno Liberti non mi interessano i soggetti rappresentati, o, se vogliamo, le sontuose quanto meticolose rappresentazioni tematiche. Lasciamo al teatro il compito di rappresentare. Quello che mi riguarda è la sua pittura o, più ancora il suo segno, parte precipua di un disegno netto netto, indiscentibile. Lasciamo quindi da parte il suo approccio al mito e a tutte le simbologie che gli competono, e che affondano le loro radici in una classicità spesso sopraffatta da istanze realistiche. Il segno appare sicuro: contiene in sé tutta la sicurezza della classicità, ma anche una decisionalità e una trasparenza che mantengono tutto il loro peso anche sotto il colore di una pittura, abile quanto maestosa, sontuosa, appesantita soltanto dalla voglia dl aggiungere "significato “ anche quando il significato, simbolico, mitico, o no, non ha nulla da aggiungere a quello che già il segno dice dl sé. Insomma la pittura di Liberti non ha bisogno di certo decorativismo e di certe proiezioni “fuori di sé " per esistere e imporre tutta la sua efficacia. C'è insomma più pittura in un china del 1992, intitolata “Il potere deriso " che nel cromatismo intenso di tante tele. E non perché la “derisione del potere " emerga dal tratto a china più di quanto non potrebbe emergere dall’olio, ma perché il tratto a china qui si rivela più essenziale del colore dell’olio, e mette in evidenza, come si è già detto, tutta la forza incisiva del segno A che cosa mi servono quelle allegorie dell' enigma o della violenza del potere, quei volti mascherati, quei minotauri, quando di fronte a me ho immagini tracciate con una violenza e un vigore ben più reali di quelli lmpliciti nei soggetti rappresentati. Sono per una pittura che sfugge alla rappresentazione, che la rifiuta, anzi. A favore di una pittura che usa le forme e i gesti per scovare nella verità, per metter in luce realtà, nascoste. Per cui amo tutto ciò che è diretto, immediato. E buona parte di ciò che Liberti fa, appartiene a questo secondo contesto. Anche se spesso molti esegeti si sono lasciati ingannare dalla sua maestria compositiva realistica e dai suoi significati simbolici. Spogliare l’arte di Liberti da tutto ciò che è rappresentazione è quanto consiglio a una esegesi futura, che vorrei portare avanti io stesso se avessi ancora tempo e possedessi strumenti idonei. ( Mancandomi l’uno e gli altri, mi limito a lasciare questo consiglio…postumo.)
( Vincenzo Accame, 1997 – Albenga – SV. )

Bruno Liberti: Immaginando Martini In tutta la sua produzione Bruno Liberti ha sempre posto in evidenza la sicurezza di un mestiere derivato da un’educazione classica, di tipo formale,ispirata alla "grande pittura" che si manifesta in questo "omaggio"strutturalmente complesso e denso di significati. Il quadro ci pone davanti agli occhi un interno a più piani giocato in prospettiva. E’ uno studio-laboratorio nel quale sono posti a colloquio tre gruppi di protagonisti:Martini, adombrato dalle sembianze del suo bronzo più celebrato, “Il figliol prodigo”; Liberti stesso e due modelle. Ma di quale colloquio si tratti non è dato capire perchè, come spesso avviene nelle opere del pittore, i confini tra realtà e invenzione, tra possibile e impossibile sono molto labili. Per esempio: in quale studio ci troviamo?In quello di Liberti o in quello di Martini? Entrambe le ipotesi sono plausibili, perché se Liberti, nel più classico degli autoritratti, si è raffigurato in primo piano sulla destra di chi guarda con atteggiamento sentenzioso, anche Martini potrebbe nascondersi in qualche angolo della stanza, probabilmente dietro il mantello del “Figliol prodigo che egli stesso considerava uno dei massimi capolavori della scultura di ogni tempo. Le modelle, da parte loro, potrebbero appartenere sia al mondo di Martini sia a quello di Liberti, in quanto oggettivazione dell'ispirazione comune ai due artisti. E tuttavia il loro atteggiamento ci lascia turbati. Perché – nonostante Liberti indichi il bronzo di Martini esortandole a guardarlo – volgono la faccia verso gli spettatori e ignorano la statua collocata alle loro spalle? Perché evidentemente non capiscono e , almeno da parte loro, il colloquio è impossibile. La presenza delle modelle è indispensabile, ma resta enigmatica. O forse è indispensabile proprio per dare corpo all'enigma. ln sostanza Liberti ha reso omaggio a Martini, di cui ha evocato sapientemente la grandezza, ma ha anche inserito nella composizione tutto se stesso l' intero oggetto del suo fare, attraverso l' esibizione dei temi privilegiati: dalla natura morta all'autoritratto all'altrettanto classico tema del "pittore e la modella". Tutto si tiene e tutto è gonfio di immagini, in una sorta di “horror vacui “ entro è palpabile l 'incalzare delle domande da un personaggio all’altro. Domande che spesso rimangono prive di risposta, ma rimandano ad altri interrogativi, in un perenne gioco di specchi tra verità e finzione, reale e immaginario, mistero e seduzione.
(Museo Arturo MARTINI – Vado Ligure – “OMAGGIO AD ARTURO MARTINI” – A cura di Silvio Riolfo Marengo – 1999 )

Se citassi due aggettivi quali "turgide e lussureggianti" la fantasia di qualche nostro amico un po' birichino correrebbe subito a certe prorompenti figure femminili che Liberti ama inserire sovente nei suoi grandi quadri. Niente di tutto ciò, ma solo una serie di nature morte ambientate in sfondi seicenteschi, di grande impatto visivo, alle quali i due sopracitati aggettivi si attagliano ugualmente bene perché anche in esse serpeggia quasi un'aura dí sensualità.
(Pier Luigi Renier, Maggio 2000 )

Fiori secchi, frutta, bottiglie. Tutta una serie di oggetti inanimati contrapposti alla viva rappresentazione della figura umana e guardati, per questo, con la condiscendenza che si riserva a un genere minore. Così, spesso,v iene considerata la “natura morta". E, invece, è sufficiente osservare queste tele di Liberti con un minimo di attenzione per comprendere quale straordinaria ricchezza formale e sostanziale possa sprigionarsi anche dagli oggetti in apparenza più elementari, quando a definirli nello spazio e nel tempo soccorre il mestiere derivato da una sapienza "classica” capace di restituire alla "natura morta”, la dignità di soggetto autonomo del quadro, così come si era storicamente affermata nel '600: un secolo, dominato da una pittura suntuosa e drammatica al tempo stesso, con cui Liberti dimostra di avere molte affinità elettive. Nei suoi quadri di figura è molto evidente, per esempio, I' impiego alla Caravaggio - che è stato, del resto, uno dei primi "specialisti" italiani di nature morte - di forti contrasti tra ombra e luce, col privilegio riservato a quest'ultima di modellare ambienti e plasmare figure in senso simbolico e drammatico. Altrettanto evidente, nell'elaborata composizione dei suoi quadri, è una sorta di magniloquenza alla Rubens, per proporre ancora un termine di paragone molto alto (ma, nel caso di Liberti, sono riferimenti necessari perché tutto il suo poiein si è sempre ispirato alla tradizione formale della "grande pittura"). È naturale perciò che i contrasti cromatici e le costruzioni formali complesse tipiche di Liberti pittore di figure umane si riverberino anche nel pittore di nature morte; anzi risultino tanto più forti e rilevati quanto più gli oggetti appaiono sostanzialmente deboli, come un mazzo di poveri fiori di cardo, un pugno di funghi rinsecchiti, o un semplice grappolo d'uva, che il luminismo avvolge e penetra, riportando in superfici e preziosità nascoste e trasparenze impensate. Ma, alla costruzione spaziale, non contribuiscono solo gli oggetti esposti in primo piano; a bilanciare il "peso" della frutta, dei fiori, dei drappi e delle carte colorate che li sorreggono, provvedono ventagli di luci sfavillanti e barbagli di nuvole tempestose, senza contare che ad acuire il senso della profondità Liberti inserisce talvolta la chioma di un albero o il profilo di un paesaggio sfumato sullo sfondo (come il prediletto monte di Portofino). Classicismo e romanticismo - potremmo dire semplificando - uniti insieme, in base alla feconda legge dialettica che ha sempre animato la pittura di Liberti. Da queste sue nature morte ci vengono chiarori metafisici e mari tempestosi che, attraverso il loro perenne movimento, esaltano per contrasto la calma vita delle cose. Tutto perfettamente chiaro e distinto, dunque, ma anche tutto legato insieme, perché le mele, l’uva, i calici, i fiori sono resi nel loro intrinseco realismo e, al tempo stesso, vengono proiettati nella dimensione della memoria mitica che è la grande costante della pittura di Liberti. In conclusione la natura morta come pretesto formale per giungere alla più libera e pura espressione pittorica e al piacere dei riferimenti culturali, indiretti (come quelli già ricordati a Rubens e Caravaggio) e diretti, come gli espliciti omaggi a De Chirico e al Movimento di Corrente: un modo anche questo per ricollegarsi alla grande tradizione, italiana ed europea, della natura morta e per rinnovarla dall’interno.
( Silvio Riolfo Marengo, “Le nature morte di Bruno Liberti”– 2000)

…Liberti, per la prima volta, in tutto il suo lungo percorso espressivo, ultraquarantennale, presenta una "personale" costituita di sole "nature morte":. dalle immagini edeniche, lussureggianti, quanto silenti, di provocatoria ed avvincente fissità. Le opere, eseguite fra il 1985ed il 1999, rappresentano seduttive e incantatrici composizioni di fiori freschi e secchi, allegorie di frutta, trionfi di bottiglie, vasi, bacili, brocche, oggetti d'uso domestico, collocati fra sfavillanti drappi, carte, veleni. Soggetti, esiti di una visionarietà che coniuga realismo ed evocazione. La maniacale rivisitazione del vero più prezioso ed elittario con la memoria onirica di un fastoso tempo passato. Liberti è fautore di un linguaggio espressivo di inusuale ed intrigante ricchezza di costruzione formale e di spazialità architettonica. Le sue pennellate sono ricche, umettose e roride di materia pittorica. L'espansione cromatica è una perfetta sintesi di calore tonale e di risultanze luministiche sfavillanti. In conclusione, la natura morta come pretesto formale per giungere alla più libera e pura espressione pittorica e al piacere dei riferimenti culturali indiretti e diretti, come gli espliciti omaggi a De Chirico e al Movimento di Corrente.
( Giannina Scorza, CORRIERE MERCANTILE - 2000 - Genova )