Copertina e frontespizio del libro "L'ingegnoso gentiluomo Don Chisciotte della Mancia", 2000

Don Chisciotte, 2000.

Don chisciotte e Sancio Panza, 2000

Dulcinea, 2000

Epopea del Don Chisciotte, 2000

Vittoria sul Biscaglino, 2000

Omaggio a Martini, 1998

Natura morta, sanguigna e carboncino su carta, 1987

Antologia critica 2000/oggi

La storia dell'esegesi del libro di Miguel Cervantes Don Chisciotte della Mancia comprende numerose e diverse letture a seconda del tempo e della personalità dell'interprete...Nei disegni e ritratti qui riuniti di Liberti appare lontana da un intento di pura mimesi illustrativa dei fatti e dei personaggi che formano la straordinaria storia del libro: essa guarda al romanzo spagnolo come fonte ispiratrice per un viaggio che si nutre di elementi idealistici, fantastici, visionari, come dire "donchisciotteschi". E' sufficiente per questo osservare la scelta dei colori utilizzati - il grigio azzurro dell'alba nascente o il giallo rosso ombrato dei crepuscoli – per comprendere come la sostanza letteraria che alimenta l'esperienza pittorica di Liberti sia quella vaga, oscura e impalpabile dell'evasione e del delirio onirico... Liberti, pittore fornito di grande cultura e formazione classica, guarda alle figure del sogno e del delirio invitando l'osservatore a salire sul ronzino di Don Chisciotte per compiere un viaggio immaginario in cui Dulcinea torna a essere la donna eterna della bellezza e della passione. La modernità della pittura di Liberti sta anche in questa capacità di vivere il passato attraverso il presente.
(Gabriele Morelli, commento - "L'Ingegnoso Gentiluomo Don Chisciotte della Mancia", 2000)

...Il segreto, se poi segreto è, risiede a parer mio nella scelta del l'angolo interpretativo: sia Carrà che Liberti si sono collocati dalla parte di Don Chisciotte, sono penetrati nelle sue visioni e nei suoi ragionamenti, come d'altronde ha fatto Cervantes durante lo svolgimento del suo capolavoro. E' palpabile in Liberti la preoccupazione di rivelare senza svelare compiutamente. Egli infatti ha privilegiato una narrazione pittorica che lascia ampio spazio al sogno, alla visione, alla percezione e al delirio:i paesaggi e i personaggi sono macchie, ectoplasmi dagli indefiniti tratti. Liberti non descrive, interpreta climi, emozioni di luci improvvise di oscurità incombenti. avvolgenti. I toni caldi giocati sul giallo e ambrato e sul verde scuro e i profili appena accennati dal percorso del pennello permettono ogni fuga e ogni evanescenza d'immagine: si va dalle fantasiose elucubrazioni del protagonista alle improvvise visioni di fanciulle conturbanti, agli strazi di tenzoni vere o presunte nell'incerto procedere delle ombre o nel dubbio proposito dei protagonisti. L’artista genovese si avvale come sempre di una sapiente tecnica che gli proviene dalla tradizione novecentista memore dei grandi maestri del passato. Nella circostanza egli si è spogliato di certi dettagli della figurazione per privilegiare l'atmosfera, evitando richiami iconografici di maniera: Don Chisciotte non è un personaggio ben distinto, risiede nel comune desiderio di evasione, fa parte della sana "pazzia" di chi cerca di liberarsi dalle convenzioni esistenziali per cavalcare, almeno col pensiero, l'avventura, per offrire a una ideale Dulcinea i propri servigi. Bruno Liberti ha compreso la lezione e l'ha resa pittoricamente plausibile come avviene nelle sue composizioni più ispirate.
(Luciano Caprile, “L’INGEGNOSO GENTILUOMO Don Chisciotte della Mancia” – testo critico – 2001)

Cogliere l’attimo di sospensione nell’attesa, afferrare la tensione del movimento in atto: sono due forme (antitetiche) della strategia con cui Bruno Liberti elabora e realizza, nel concreto della pagina, le sue figurazioni allorché prende in considerazione le figure umane (e si tratta, nel nostro caso, come subito vedremo, di figurare specialissime).Ed eccole, queste figure:c'è l'ingegnoso gentiluomo don Chisciotte, raffigurato nei suoi vari ma coerenti atteggiaménti, c'è il suo Sancio Panza, c'è la sua “dama" Dulcinea. Ognuno è colto nella sua irriducibile singolarità. I disegni e le tavole di Liberti li seguono, li spiano, li inquadrano. Del nobile hidalgo abbozzano la figura, accennano il volto, salvo poi scrutarlo quando è il caso. E gli affiancano lo scudiero e la dama. Tutt'intorno il silenzio e la solitudine, a sottolineare l'eccezionalità degli eroi. Sciolto, scorrevole, disinvoltamente costruttivo, il ductus dell'artista delinea il personaggio a cavallo, a piedi, con quel tanto di grottesco (e insieme, sotto sotto, di malinconico) che gli è inseparabile. E Sancio, corposo e solido, credulo e goffo e saggio, reinvesta esattamente il suo ruolo. Sorprendente è Dulcinea, vista e sognata: bella. carnale, disinvolta, esibizionista. Liberti scopre nell'hidalgo la possibilità di pensieri proibiti che investono di sensualità e desiderio la sua dama. Perfetta, nel suo dinamismo, la tavola di don Chisciotte sul cavallo che si impenna, eroicamente e, così I 'altra dove egli affronta e abbatte il biscaglino, e soprattutto quella a colori, situata nella suggestione notturna, là dove il cavallo bagnato dalla luce della luna. si erge sugli zoccoli posteriori mentre il cavaliere è colto, nella sua sorpresa, da un sentimento estatico. Evasione, delirio, sogno, dice Gabriele Morelli nel suo limpido saggio: la figura di don Chisciotte "a cavallo o in viaggio, appare come chiusa in uno spazio misterioso, irraggiungibile, che rifiuta l'oscura realtà di ogni giorno". A sua volta Luciano Caprile evidenzia come Liberti si sia spogliato di certi dettagli della figurazione per privilegiare l'atmosfera, che appare tra i protagonisti dell'opera.
(Vico Faggi, “BRUNO LIBERTI, L’ingegnoso gentiluomo Don Chisciotte della Mancia”, Ateneo Edizioni, 2001 , pp. 64)

…La sua pittura, di estrazione neofigurativa e originariamente accordata al diapason simbolista ed espressionista, si distingue per la forte partecipazione esistenziale. Particolarmente noti certi suoi interni dipinti con acuto senso del reale e delle atmosfere e, più recenti, i paesaggi trattati con grande cura dei particolari oltre ad alcune figure di tipo realista, spesso ostentate in pose decadenti o in nudi complici di un mascheramento esistenziale…
(DIZIONARIO DEGLI ARTISTI LIGURI, a cura di G.Beringheli, DE FERRARI ED. -2001)

Bruno Liberti con la sua forte partecipazione esistenziale, grazie al suo “segno” inconfondibile e specifico ci parla del fiume Bormida, così caro alla scuola dei Grigi, tratteggiandone il paesaggio con un acuto senso del reale.
(Dr.ssa S.Bottaro, Acqua, paesaggi e geografie reali ed immaginarie. Palazzo delle Azzarie – SV. 2004 )

La sua pittura rispecchia la sensibilità e l’emotività dell’uomo e dell’artista Liberti: i suoi quadri sono un’esplosione di “verità”, a volte anche spiacevole, grazie ad una tavolozza alquanto personale ed all’uso di metafore simboliche. Liberti crea un linguaggio intimo, forte, incisivo dove l’attualità ha una sua dimensione di soggetto. La sua pittura è istintiva, se vogliamo, laddove vuole cogliere la sincerità profonda della sua “verità”. Riesce ad emozionarsi sempre con spirito nuovo davanti ai grandi della pittura: un nudo di Manet può suggerirgli di realizzare una sua opera sincera, senza interposizioni, diretta quale sorta di ringraziamento per aver potuto vivere quelle emozioni. Così il mondo cupo e tormentato di Goya lo possono ispirare per soffermarsi, per fare una ricerca sulle cose che non vanno del nostro tempo: guerre e mostruosità. Liberi non ha mai gradito i , compromessi o gli atteggiamenti di comodo: è un artista libero, sensibile, che vuol gridare, a volte, il suo disagio di uomo. Il segno inconfondibile, preciso, senza pentimenti, la capacità di riprendere le forme lo hanno portato ad una pittura, di estrazione neofigurativa con echi simbolisti, in origine, ed espressionistici dove si distingue netta la forte partecipazione esistenziale. Particolarmente pregnanti e noti alcuni suoi interni, dove emerge il senso dello spazio, del reale, la capacità di creare delle particolari atmosfere…Un percorso artistico quello di Liberti impegnativo, ricchissimo di eventi e di presenze, avente come comune denominatore, sempre, la coerenza ed una costante maturazione dei convincimenti personali.
(Silvia Bottaro, Percorsi D’Artista)

Nel dipinto di Bruno Liberti una candida figura è sospesa in un cielo dominato dai toni del verde a sovrastare alcuni edifici della città, in particolare la cattedrale di San Lorenzo e uno dei leoni in primo piano. Santa Virginia sta abbandonando i fantasmi a lei cari dei luoghi e delle persone e si rivolge agli angeli che l’attendono per accompagnarla in questa “Ascesa all’empireo” al cospetto di Dio. Anche in tal caso la ricercata indeterminatezza dei protagonisti e del paesaggio traghetta l’attenzione verso la luce che attira, assorbe e ormai annulla ogni impulso e ogni desiderio terreno della venerabile.
(Luciano Caprile ina S.Bottaro e L.Caprile –“Virginia Sancta”-Museo Diocesano, Genova e Oratorio N.S. di Castello -2004/2005)

…al di là del linguaggio che resta inconfondibilmente libertiano, un valore nuovo: non più la ricerca quasi compiaciuta dell’umanità colta nel momento di trapasso dal mito alla storia, ma uno scavare nella “matta bestialità” che, attraverso la storia, perviene alla contemporaneità. Personaggi mascherati e velati, tra mistero e rivelazione, armigeri corruschi, prelati e prostitute, immagini teneramente avvinghiate, simboli animaleschi sono come trascinati in un vorticoso movimento, ora sotto un cielo azzurro frammentato di nuvole dai riverberi solari, ora risucchiati in un fuligginoso panorama di un’antica città dalla sky-line obnubilata, che ha la semantica della storia e insieme la suggestione infernale…
…mentre l’occhio resta deliziosamente affascinato, lo spirito è sgomento.
( Giuliana Biavati, settembre 1995 )

L'aiuto del caso è stato richiesto dagli artisti di ogni epoca: ricordiamo le macchie e le muffe zoomorfe citate da Leonardo, ricordiamo gli "objets trouvés" dei dadaisti, ricordiamo le carte assorbenti acquarellate da Picasso. Bruno Liberti ha percorso la medesima via intenzionale cercando il colloquio insinuante e persuasivo dei fogli di stampa, delle parole e dei segni grafici del giornale, per far vivere le nuove nature morte e i nuovi paesaggi in un contesto diverso dal solito, in un ambito di maggiore pregnanza espressiva. Per un graduale e variabile coinvolgimento della materia pittorica il fondo assurge ora a elemento protagonista venendo a determinare il calore, la presenza talora fantasmatica delI'immagine descritta dal pastello e dalla tempera. Infatti la morbidezza dei toni e la sfumatura delle descrizioni d'insieme trovano in questa base d'occasione la loro motivazione primaria. Inoltre non va sottovalutata I'ascesa in superficie di caratteri tipografici che divengono presenze essenziali, tali da decretare la scelta di Liberti e, per contrasto, da ampliarne la libertà narrativa. Il gesto diventa allora importante quanto il contenuto perché in una simile circostanza gesto e contenuto coincidono nel formulare il senso di una decisione che va oltre il risultato medesimo. Tutto si accende e “tutto si placa in un attimo, in una magia guidata dall'effimero.
(Luciano Caprile, “Fogli“, 1997)

Di Bruno Liberti non mi interessano i soggetti rappresentati, o, se vogliamo, le sontuose quanto meticolose rappresentazioni tematiche. Lasciamo al teatro il compito di rappresentare. Quello che mi riguarda è la sua pittura o, più ancora il suo segno, parte precipua di un disegno netto netto, indiscentibile. Lasciamo quindi da parte il suo approccio al mito e a tutte le simbologie che gli competono, e che affondano le loro radici in una classicità spesso sopraffatta da istanze realistiche. Il segno appare sicuro: contiene in sé tutta la sicurezza della classicità, ma anche una decisionalità e una trasparenza che mantengono tutto il loro peso anche sotto il colore di una pittura, abile quanto maestosa, sontuosa, appesantita soltanto dalla voglia dl aggiungere "significato “ anche quando il significato, simbolico, mitico, o no, non ha nulla da aggiungere a quello che già il segno dice dl sé. Insomma la pittura di Liberti non ha bisogno di certo decorativismo e di certe proiezioni “fuori di sé " per esistere e imporre tutta la sua efficacia. C'è insomma più pittura in un china del 1992, intitolata “Il potere deriso " che nel cromatismo intenso di tante tele. E non perché la “derisione del potere " emerga dal tratto a china più di quanto non potrebbe emergere dall’olio, ma perché il tratto a china qui si rivela più essenziale del colore dell’olio, e mette in evidenza, come si è già detto, tutta la forza incisiva del segno A che cosa mi servono quelle allegorie dell' enigma o della violenza del potere, quei volti mascherati, quei minotauri, quando di fronte a me ho immagini tracciate con una violenza e un vigore ben più reali di quelli lmpliciti nei soggetti rappresentati. Sono per una pittura che sfugge alla rappresentazione, che la rifiuta, anzi. A favore di una pittura che usa le forme e i gesti per scovare nella verità, per metter in luce realtà, nascoste. Per cui amo tutto ciò che è diretto, immediato. E buona parte di ciò che Liberti fa, appartiene a questo secondo contesto. Anche se spesso molti esegeti si sono lasciati ingannare dalla sua maestria compositiva realistica e dai suoi significati simbolici. Spogliare l’arte di Liberti da tutto ciò che è rappresentazione è quanto consiglio a una esegesi futura, che vorrei portare avanti io stesso se avessi ancora tempo e possedessi strumenti idonei. ( Mancandomi l’uno e gli altri, mi limito a lasciare questo consiglio…postumo.)
(Vincenzo Accame, 1997, Albenga – SV)

Bruno Liberti: Immaginando Martini In tutta la sua produzione Bruno Liberti ha sempre posto in evidenza la sicurezza di un mestiere derivato da un’educazione classica, di tipo formale,ispirata alla "grande pittura" che si manifesta in questo "omaggio"strutturalmente complesso e denso di significati. Il quadro ci pone davanti agli occhi un interno a più piani giocato in prospettiva. E’ uno studio-laboratorio nel quale sono posti a colloquio tre gruppi di protagonisti:Martini, adombrato dalle sembianze del suo bronzo più celebrato, “Il figliol prodigo”; Liberti stesso e due modelle. Ma di quale colloquio si tratti non è dato capire perchè, come spesso avviene nelle opere del pittore, i confini tra realtà e invenzione, tra possibile e impossibile sono molto labili. Per esempio: in quale studio ci troviamo?In quello di Liberti o in quello di Martini? Entrambe le ipotesi sono plausibili, perché se Liberti, nel più classico degli autoritratti, si è raffigurato in primo piano sulla destra di chi guarda con atteggiamento sentenzioso, anche Martini potrebbe nascondersi in qualche angolo della stanza, probabilmente dietro il mantello del “Figliol prodigo che egli stesso considerava uno dei massimi capolavori della scultura di ogni tempo. Le modelle, da parte loro, potrebbero appartenere sia al mondo di Martini sia a quello di Liberti, in quanto oggettivazione dell'ispirazione comune ai due artisti. E tuttavia il loro atteggiamento ci lascia turbati. Perché – nonostante Liberti indichi il bronzo di Martini esortandole a guardarlo – volgono la faccia verso gli spettatori e ignorano la statua collocata alle loro spalle? Perché evidentemente non capiscono e , almeno da parte loro, il colloquio è impossibile. La presenza delle modelle è indispensabile, ma resta enigmatica. O forse è indispensabile proprio per dare corpo all'enigma. ln sostanza Liberti ha reso omaggio a Martini, di cui ha evocato sapientemente la grandezza, ma ha anche inserito nella composizione tutto se stesso l' intero oggetto del suo fare, attraverso l' esibizione dei temi privilegiati: dalla natura morta all'autoritratto all'altrettanto classico tema del "pittore e la modella". Tutto si tiene e tutto è gonfio di immagini, in una sorta di “horror vacui “ entro è palpabile l 'incalzare delle domande da un personaggio all’altro. Domande che spesso rimangono prive di risposta, ma rimandano ad altri interrogativi, in un perenne gioco di specchi tra verità e finzione, reale e immaginario, mistero e seduzione.
(Museo Arturo MARTINI – Vado Ligure – “OMAGGIO AD ARTURO MARTINI” – A cura di Silvio Riolfo Marengo – 1999)

Se citassi due aggettivi quali "turgide e lussureggianti" la fantasia di qualche nostro amico un po' birichino correrebbe subito a certe prorompenti figure femminili che Liberti ama inserire sovente nei suoi grandi quadri. Niente di tutto ciò, ma solo una serie di nature morte ambientate in sfondi seicenteschi, di grande impatto visivo, alle quali i due sopracitati aggettivi si attagliano ugualmente bene perché anche in esse serpeggia quasi un'aura dí sensualità.
(Pier Luigi Renier, Maggio 2000)

Fiori secchi, frutta, bottiglie. Tutta una serie di oggetti inanimati contrapposti alla viva rappresentazione della figura umana e guardati, per questo, con la condiscendenza che si riserva a un genere minore. Così, spesso,v iene considerata la “natura morta". E, invece, è sufficiente osservare queste tele di Liberti con un minimo di attenzione per comprendere quale straordinaria ricchezza formale e sostanziale possa sprigionarsi anche dagli oggetti in apparenza più elementari, quando a definirli nello spazio e nel tempo soccorre il mestiere derivato da una sapienza "classica” capace di restituire alla "natura morta”, la dignità di soggetto autonomo del quadro, così come si era storicamente affermata nel '600: un secolo, dominato da una pittura suntuosa e drammatica al tempo stesso, con cui Liberti dimostra di avere molte affinità elettive. Nei suoi quadri di figura è molto evidente, per esempio, I' impiego alla Caravaggio - che è stato, del resto, uno dei primi "specialisti" italiani di nature morte - di forti contrasti tra ombra e luce, col privilegio riservato a quest'ultima di modellare ambienti e plasmare figure in senso simbolico e drammatico. Altrettanto evidente, nell'elaborata composizione dei suoi quadri, è una sorta di magniloquenza alla Rubens, per proporre ancora un termine di paragone molto alto (ma, nel caso di Liberti, sono riferimenti necessari perché tutto il suo poiein si è sempre ispirato alla tradizione formale della "grande pittura"). È naturale perciò che i contrasti cromatici e le costruzioni formali complesse tipiche di Liberti pittore di figure umane si riverberino anche nel pittore di nature morte; anzi risultino tanto più forti e rilevati quanto più gli oggetti appaiono sostanzialmente deboli, come un mazzo di poveri fiori di cardo, un pugno di funghi rinsecchiti, o un semplice grappolo d'uva, che il luminismo avvolge e penetra, riportando in superfici e preziosità nascoste e trasparenze impensate. Ma, alla costruzione spaziale, non contribuiscono solo gli oggetti esposti in primo piano; a bilanciare il "peso" della frutta, dei fiori, dei drappi e delle carte colorate che li sorreggono, provvedono ventagli di luci sfavillanti e barbagli di nuvole tempestose, senza contare che ad acuire il senso della profondità Liberti inserisce talvolta la chioma di un albero o il profilo di un paesaggio sfumato sullo sfondo (come il prediletto monte di Portofino). Classicismo e romanticismo - potremmo dire semplificando - uniti insieme, in base alla feconda legge dialettica che ha sempre animato la pittura di Liberti. Da queste sue nature morte ci vengono chiarori metafisici e mari tempestosi che, attraverso il loro perenne movimento, esaltano per contrasto la calma vita delle cose. Tutto perfettamente chiaro e distinto, dunque, ma anche tutto legato insieme, perché le mele, l’uva, i calici, i fiori sono resi nel loro intrinseco realismo e, al tempo stesso, vengono proiettati nella dimensione della memoria mitica che è la grande costante della pittura di Liberti. In conclusione la natura morta come pretesto formale per giungere alla più libera e pura espressione pittorica e al piacere dei riferimenti culturali, indiretti (come quelli già ricordati a Rubens e Caravaggio) e diretti, come gli espliciti omaggi a De Chirico e al Movimento di Corrente: un modo anche questo per ricollegarsi alla grande tradizione, italiana ed europea, della natura morta e per rinnovarla dall’interno.
(Silvio Riolfo Marengo, “Le nature morte di Bruno Liberti”, 2000)

…Liberti, per la prima volta, in tutto il suo lungo percorso espressivo, ultraquarantennale, presenta una "personale" costituita di sole "nature morte":. dalle immagini edeniche, lussureggianti, quanto silenti, di provocatoria ed avvincente fissità. Le opere, eseguite fra il 1985ed il 1999, rappresentano seduttive e incantatrici composizioni di fiori freschi e secchi, allegorie di frutta, trionfi di bottiglie, vasi, bacili, brocche, oggetti d'uso domestico, collocati fra sfavillanti drappi, carte, veleni. Soggetti, esiti di una visionarietà che coniuga realismo ed evocazione. La maniacale rivisitazione del vero più prezioso ed elittario con la memoria onirica di un fastoso tempo passato. Liberti è fautore di un linguaggio espressivo di inusuale ed intrigante ricchezza di costruzione formale e di spazialità architettonica. Le sue pennellate sono ricche, umettose e roride di materia pittorica. L'espansione cromatica è una perfetta sintesi di calore tonale e di risultanze luministiche sfavillanti. In conclusione, la natura morta come pretesto formale per giungere alla più libera e pura espressione pittorica e al piacere dei riferimenti culturali indiretti e diretti, come gli espliciti omaggi a De Chirico e al Movimento di Corrente.
(Giannina Scorza, CORRIERE MERCANTILE , 2000, Genova)

L’arte del passato trovava un’alternativa al ritratto e alla committenza ecclesiastica nel paesaggio e nelle nature morte che sovente diventavano lo specchio dell’ambizione o del gusto del tempo. La progressiva decantazione delle avanguardie del primo Novecento ha concesso un nuovo spazio a tale approccio. Limitandoci al nostro Paese pensiamo solo per un attimo a Giorgio de Chirico che, a partire dagli anni Venti, recupera il piacere per la “bella pittura” ritornando a fabbricare i colori secondo i canoni antichi. Nascono così quei paesaggi colloquiali ovvero quelle “vite silenti” di derivazione metafisica intinte nel pensiero dei grandi maestri, da rivolgere al compiacimento dello sguardo e al riflesso interiore. Affermava il Pictor Optimus: “Ascoltare, intendere, imparare a esprimere la voce remota delle cose, questa è la strada e la meta dell’arte”. Bruno Liberti sembra essere partito proprio da tale illustre riferimento nel collocare in primo piano un suadente trionfo di frutta accompagnata da uno scorcio di campagna, secondo la sublime tradizione di cui si è fatto appena cenno. Tutto ciò avveniva qualche decennio fa allorché la sua tecnica sopraffina trovava in simili circostanze il modo di dispiegarsi compiutamente. Tanta era l’attenzione che egli rivolgeva a tale genere da introdurlo costantemente nei suoi racconti allegorici dove era la figura umana a conquistare il ruolo di protagonista. Così un vassoio di frutta in primo piano o uno scorcio di campagna si ritrovano con una certa frequenza nelle composizioni di quel periodo. Il paesaggio preferito è quello suscitato dalle vacanze in Val Bormida. Negli ultimi anni il tema è stato ripreso con rinnovato spirito interpretativo: alla qualità pittorica, sempre eccellente, si è aggiunto un gesto che va a privilegiare l’intenzione indagatrice dell’autore. Mi spiego meglio: in queste prove, caratterizzate da una libertà descrittiva che sconfina talora nel volutamente o apparentemente non finito, c’è il Liberti affrancato da ogni compiacimento espressivo; c’è il Liberti rinnovato non tanto nella tavolozza quanto nell’intenzione di inserire l’anima, il pensiero esistenziale (e anche un certo conseguente strazio) in ciò che scaturisce dalla pennellata. Così quell’“imparare la voce remota delle cose” d’intuizione dechirichiana si trasforma con lui in una lezione offerta dalle cose alla vita. Un rigoroso, bilanciato ritmo formale sostiene in ogni momento un racconto che pare talora volersi sciogliere e invece sparge intorno a sè una modulata coerenza rinnovabile di capitolo in capitolo. Senza trovare mai la conclusione ma lasciando sempre aperto un possibile seguito, un appuntamento da rivolgere a ulteriori sguardi, a ulteriori considerazioni, a ulteriori illuminazioni pittoriche. Un discorso a parte merita la sequenza di opere suggerite a Bruno Liberti dalla lettura del Don Chisciotte di Cervantes. Al di là dell’interpretazione di questo capolavoro della letteratura spagnola, emerge qui il rapporto tra le figure e il paesaggio che le accolgono. In molti casi è quest’ultimo a prevalere come importanza e come respiro descrittivo lasciando ai personaggi delle varie scene un ruolo di contorno: assoluto protagonista è il panorama della Mancia che, nell’immaginario dell’ artista ( abile nella circostanza a interpretare l’immaginario di Cervantes ), detta i tempi e i modi di ogni vicenda raffigurata. Il paesaggio acquisisce così lo spirito di chi lo attraversa e lo vive dilatando le pulsioni emotive, sottolineando i particolari stati d’animo. Ancora una volta le “cose” si sostituiscono alle persone e rivelano l’anima del mondo in vece loro. Seguendo tale procedimento esplorativo Bruno Liberti è riuscito a dilatare il suo campo di indagine ben oltre i ristretti ambiti visivi decretati da un accostamento di frutti da assaporare o da uno scorcio di campagna da traguardare come un agognato orizzonte: man mano che la pura abilità tecnica veniva superata dall’urgenza dell’invenzione cresceva in lui la capacità di sondare se stesso e di riflesso di sondare l’anima del mondo che ci accoglie e ci determina. E questa è una delle meraviglie dell’arte che si rinnova nelle difficoltà del tempo che l’avvolge e la costringe continuamente a interrogarsi. Oggi, come ieri, come domani: sempre.
Luciano Caprile